Frase del giorno

Le migliori amicizie hanno dei terreni inesplorati che non si dissodano mai.

Jules Renard


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EPILESSIA: UNA NUOVA STRADA PER LA RICERCA     ( 14/05/2010 )
EPILESSIA: UNA NUOVA STRADA PER LA RICERCAA fare la scoperta è il gruppo del Dott. Giorgio Carmignoto

Oggi il
3% della popolazione mondiale soffre di epilessia e una parte significativa non risponde ai farmaci. Uno studio recente individua per la prima volta negli astrociti un co-fattore scatenante offrendo, in questo modo, un nuovo bersaglio per lo sviluppo di terapie innovative.

Gli astrociti sono cellule particolari costituenti della nevroglia che fungono da "impalcatura" nello sviluppo cerebrale, consentendo ai neuroni di trasferirsi dai loro siti di origine nel sistema nervoso che si sta sviluppando alla loro meta conclusiva nel cervello.
Così come gli astrociti attuano un ruolo di costruzione e riparazione nel cervello lesionato, se il loro principio di funzionamento viene alterato, possono procurare molti effetti negativi. Oltre che sull\'insorgenza dell\'epilessia le sostanze prodotte dagli astrociti svolgono infatti un ruolo diretto nel
Parkinsonismo e nella corea di Huntington. Inoltre gli astrociti sembrano essere coinvolti in una fase precoce dell\'encefalopatia epatica.

A fare la scoperta è il gruppo del
Dott. Giorgio Carmignoto, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e del Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali, che ha esposto la ricerca nel lavoro "An Excitatory Loop with Astrocytes Contributes to Drive Neurons to Seizure Threshold" apparso in questi giorni sull\'ultimo numero di PLOSBiology.

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L\'epilessia focale - ha spiegato Carmignoto presentando lo studio - è causata da un "eccesso di sincronia" dei neuroni che cominciano a lavorare ad un ritmo molto superiore al normale e producono una "scarica elettrica" che si diffonde ad ampie porzioni del cervello provocando le convulsioni. Un episodio di iperattività in un gruppo ristretto di neuroni attiva in maniera massiccia gli astrociti, cellule distribuite a mosaico che ancorano fisicamente i neuroni e assicurano loro il rifornimento di sangue. Gli astrociti a loro volta ritornano ai neuroni il segnale ricevuto, potenziando l\'iperattività di questi ultimi che si propaga a larghe parti del cervello provocando la crisi epilettica".

Avviati nel 1995, gli studi pionieristici del Dott. Carmignoto hanno permesso di determinare il ruolo attivo degli astrociti nel cervello, tra cui l\'azione svolta nella regolazione del flusso cerebrale. Ciò ha posto le basi per una ridefinizione, in termini di struttura e funzioni, del cervello stesso e per una migliore comprensione di patologie neurodegenerative del sistema nervoso centrale, quali
Alzheimer, Parkinson e, oggi, dell\'epilessia con conseguenti maggiori possibilità terapeutiche. Fonte: www.repubblica.it

I BAMBINI PREMATURI SONO PIU\' SENSIBILI AL DOLORE     ( 14/05/2010 )
 Londra, 10 mag. - I bambini prematuri sono piu\' sensibili al dolore rispetto a quelli nati nei tempi giusti. Trascorrere piu\' settimane in ospedale ed essere sottoposti a cure dopo un parto doloroso, infatti, lascerebbe una traccia \'dolorosa\' nei loro cervelli. Gli effetti possono durare durante l\'infanzia o per tutta la vita. Almeno questo e\' quanto emerso da uno studio dell\'University College Hospital di Londra condotto su 15 bambini e pubblicato sulla rivista Neuroimage. I ricercatori hanno invitato i medici a ridurre il piu\' possibile il dolore dei neonati prematuri per evitare che questi rimangano piu\' sensibili al dolore per tutta la vita. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno misurato il dolore di due gruppi di bambini attraverso il monitoraggio dell\'attivita\' cerebrale mentre venivano sottoposti a prelievo sanguigno. La meta\' dei bambini era nata nei termini giusti, cioe\' intorno alla 40esima settimana di gravidanza. Gli altri invece erano nati prematuramente, intorno alla 24-32esima settimana di gravidanza e hanno trascorso almeno 40 giorni in ospedale dopo la nascita. Ebbene, dai risultati e\' emerso che i bambini prematuri hanno reagito maggiormente alla puntura rispetto invece ai bamnbini nati nei termini giusti. I ricercatori non sanno perche\' i bambini prematuri siano piu\' sensibili al dolore. Per questo sono convinti che occorrono ulteriori studi per verificare le differenze tra i bambini prematuri e quelli nati a fine gravidanza. Fonte: www.corriere.it

Prematurità al cinema     ( 02/09/2009 )
Al Festival del Cinema di Venezia un film sull\'esperienza di una nascita prematura. E\' \"Lo spazio bianco\", film di Francesca Comencini tratto dal libro di Valeria Parrella, in cui Maria, interpretata da Margherita Buy, è una donna di quarant´anni, insegnante, single, cui la gravidanza arriva come un imprevisto, venendo accettata dopo qualche esitazione. Ma proprio lei, che ha sempre detto \"io non sono buona ad aspettare. Aspettare senza sapere è sempre stata la più grande incapacità della mia vita\", è costretta a subire una lunga attesa dolorosa. Irene infatti, la bambina, viene al mondo tre mesi prima del tempo e non si sa quando potranno staccarla dalle macchine che la alimentano e la tengono viva. Non si sa se sopravviverà. Lo spazio bianco è proprio questo limbo nel quale si trovano i protagonisti di questa storia. Il film in questo caso, al di là del personale vissuto della donna, rappresenta un\'occasione interessante per condividere la dolorosa esperienza delle nascite pre-termine e per sensibilizzare il pubblico sulle difficoltà che una famiglia incontra prima e dopo l\'evento. Per questo abbiamo inteso dedicare il nostro \"spazio\" e la dovuta attenzione all\'opera di Francesca Comencini. Il film è stato presentato a Venezia il 19 agosto ed è uno dei quattro film italiani in concorso, per la produzione Fandango in collaborazione di RaiCinema, con il supporto della Film Commission Campania. Al cinema dal 16 ottobre 2009 Fonte: Associazione Genitin Onlus

Ecco come si formano i ricordi. Il momento fermato da una foto.     ( 25/08/2009 )
Evidenziato il momento della traduzione della proteina responsabile della formazione della memoria. Lo studio servirà per elaborare terapie contro invecchiamento neuronale e malattie degenerative. FOTOGRAFARE i ricordi, immortalare con un\'immagine il meccanismo neuronale che si ripete tutte le volte che il nostro cervello immagazzina un dato e lo mette nel database della memoria: ci sono riusciti gli scienziati del Montreal Neurological Institute and Hospital in tandem con i colleghi della McGill University e della University of California di Los Angeles. Hanno catturato il momento in cui si compie il meccanismo di traduzione della proteina responsabile della formazione della memoria a lungo termine. Si tratta del primo esperimento del genere realizzato con successo, e rappresenta la prova visibile del fatto che tutte le volte che si forma un ricordo vengono prodotte nuove proteine nella sinapsi, la struttura che consente la comunicazione tra le cellule neuronali. Questo meccanismo incrementa la potenza della connessione sinaptica e rinforza la memoria. Lo studio, pubblicato sulla rivista Science, è fondamentale per capire come si creano i tracciati di memoria e la possibilità di monitorarli in tempo reale permetterà di comprendere in modo preciso come nascono i ricordi. Secondo gli scienziati le caratteristiche alla base della memoria umana sono due: stabilità e flessibilità. La prima è fondamentale per mantenere le informazioni nel tempo e la seconda permette al cervello di apprendere e adattarsi alla realtà. E\' per questo che la ricerca si è concentrata sulle sinapsi, sede principale di scambio e archiviazione di dati nel cervello. Queste strutture formano una rete di connessioni molto ampia e in continuo movimento: la capacità del nostro sistema nervoso di modificare l\'efficienza di funzionamento di queste connessioni tra neuroni ed instaurarne di nuove eliminandone altre è detta appunto plasticità sinaptica. Questa proprietà permette al sistema di modificare funzionalità e struttura in modo duraturo e dipendente dagli eventi che lo influenzano, come, ovviamente, l\'esperienza. Per questa ragione la plasticità sinaptica è la proprietà neurobiologica che sta alla base del fenomeno della memoria e dell\'apprendimento. \"Ma se questo network è in continuo cambiamento, come si fissano allora i ricordi, come si formano? Una fase importante nella formazione di quelli a lungo termine, si sa, è la traduzione, ovvero la produzione di nuove proteine nella sinapsi, andando a rinforzare il meccanismo di connessione e allo stesso tempo la memoria: ma nessuno aveva mai tradotto in immagini questo processo - spiega il neuroscienziato Wayne Sossin, co-autore dello studio - E\' da qui che siamo partiti: utilizzando un rivelatore di traduzione, ovvero una proteina fluorescente che può essere facilmente intercettata e tracciata, abbiamo visualizzato un incremento locale della sintesi proteica durante la fase di formazione di un ricordo. La cosa più interessante è che questa traduzione è strettamente legata al meccanismo di sinapsi e per compiersi ha bisogno dell\'attivazione della cellula post-sinaptica: tutto ciò dimostra la necessità di una collaborazione tra i due momenti che compongono la sinapsi, il pre e il post, e quindi di una connessione tra le parti dei due neuroni che in questo processo si incontrano. E\' questa attività che abbiamo fotografato\". La scoperta realizzata da Sossin e dal suo team di ricerca servirà per migliorare la comprensione dei processi che stanno alla base della formazione dei nostri ricordi e sarà utile, precisano gli scienziati, per l\'elaborazione di terapie di correzione dei problemi di perdita o deterioramento della memoria, dal normale invecchiamento neuronale alle più complesse malattie degenerative. Fonte: www.repubblica.it

New York è rossa, Roma gialla. Spiegate le tonalità dell\'autunno.     ( 25/08/2009 )
Per giustificare la differenza cromatica da zona a zona una nuova teoria, formulata da ricercatori israeliani e finlandesi, ci porta indietro nel tempo di 35 milioni di anni. LA COLORAZIONE delle foglie d\'autunno trasforma ogni anno i boschi in una tavolozza di tonalità calde e sfaccettate. Ma gli alberi si comportano in maniera diversa a seconda del continente e della latitudine e, mentre nelle foreste dell\'Europa centrale e meridionale le foglie assumono prevalentemente tinte gialle, negli Stati Uniti e nell\'Asia orientale si colorano di rosso. Perché queste differenze? La nuova teoria del professor Simcha Lev-Yadun del dipartimento di Scienza e Biologia dell\'università di Haifa e il docente Jarmo Holopainen dell\'ateneo di Kuopio in Finlandia, pubblicata su New Phytologist, chiama in causa i cambiamenti climatici, l\'orografia e le grandi migrazioni che sconvolsero la Terra milioni di anni fa. Il giallo. Il pigmento giallo è già presente nelle foglie e diventa dominante quando il verde della clorofilla diminuisce. Per il rosso il procedimento è più complicato. I pigmenti purpurei, le antocianine, non esistono nella foglia, ma sono prodotte all\'arrivo dell\'autunno. Questa occorrenza è stata scoperta recentemente e ha fatto registrare un\'impennata di ricerche volte a spiegare perché gli alberi investono risorse per creare il pigmento rosso nelle foglie, se poi sono destinate a cadere. Il rosso. Le spiegazioni fornite per giustificare il colore rosso nelle foglie sono diverse. Dalla riallocazione degli aminoacidi ad altre parti dell\'albero, alla strategia di difesa della pianta contro gli insetti. Gli afidi, o pidocchi delle piante, che succhiano le molecole organiche sono attratti dal colore giallo e stanno alla larga dal rosso. I colori purpurei sarebbero quindi, il frutto di una lunga lotta evolutiva tra le piante e gli insetti. Così però si spiega la colorazione rossa, ma non si giustifica quella gialla. La teoria. Per spiegare le differenze cromatiche il professor Lev-Yadun e il professor Holopainen, sono risaliti a 35 milioni di anni fa. Ampie zone della Terra erano coperte da una giungla sempreverde o da foreste di alberi tropicali. Nei millenni si alternarono glaciazioni e periodi asciutti tanto che molti alberi subirono una evoluzione e diventarono caducifoglie. In seguito svilupparono il processo di produzione del pigmento rosso per respingere gli insetti. In Nord america così come nell\'Asia orientale, le catene montuose che si sviluppano in direzione nord-sud permettevano la migrazione delle piante e degli animali dalle basse alle alte latitudini a seconda dell\'avanzamento o del ritiro dei ghiacciai. E insieme a loro si spostavano anche gli insetti \"nemici\". Così la guerra per la sopravvivenza è continuata senza interruzioni. In Europa continentale, invece, le montagne, le Alpi e i loro rami laterali, si sviluppano sulla direttrice est-ovest, creando una barriera alle migrazioni. Molte specie di alberi non sopravvissero ai vari periodi di freddo glaciale e con esse morirono anche gli insetti che dipendevano da loro. Ma quelle che riuscirono a \"passare la nottata\" si trovarono avvantaggiate: la lotta era finita con l\'estinzione di molti insetti e quindi, non avevano più bisogno di difendersi producendo il pigmento rosso. L\'eccezione. Una delle evidenze a supporto della teoria, secondo gli scienziati, si trova negli arbusti nani che crescono in Scandinavia: le loro foglie in autunno si tingono di colori purpurei. A differenza degli alberi, queste piccole piante, sono sopravvissute alle ere glaciali sotto uno strato di neve che le ha protette dalle temperature più rigide. La bianca coltre però, ha preservato anche gli insetti, perciò per questi arbusti la battaglia è continuata. La pigmentazione rossa non poteva essere abbandonata. Fonte: www.repubblica.it

Scoperti i nervi del tatto. Il tocco diventa piacere.     ( 24/08/2009 )
Gli scienziati hanno individuato come si trasmette l\'impulso delle carezze. La velocità ottimale è 4-5 centimetri al secondo. ROMA - Una mano sfiora morbida la pelle. E il tocco diventa un brivido piacevole che risale fino al cervello. Sensazioni, provate da tutti, che viaggiano su treni di fibre, battezzati nervi C-tattili del piacere. La scoperta è di un gruppo di neuroscienziati capeggiato da Francis McGlone dell\'azienda britannica Unilever, in collaborazione con l\'Università svedese di Gothenburg e l\'Università Usa del Nord Carolina. Ebbene i neuroscienziati hanno ora scoperto cosa c\'è alla base del misterioso potere di una carezza: studiando le reazioni nervose di un gruppo di 20 volontari, gli scienziati hanno trovato i nervi C-tattili, uno speciale gruppo di fibre nervose disposte su parti del corpo che siamo soliti sfiorarci o lasciarci carezzare e che consentono al cervello di sentire il piacere, carico di affetto, delle carezze. La loro esistenza spiega la propensione per coccole, carezze e massaggi. E spiega perché la nostra indole, innata, ci chiede e \'gioisce\' di questo tipo di esperienze tattili. Le fibre C sono di fatto importantissime, spiega il neuroscienziato sulla rivista Nature Neuroscience, per mediare le relazioni affettive mamma-figlio o tra i partner, ma spiegano anche perché ci piace molto prenderci cura di noi, magari con un massaggio, o stendendo sulla pelle una lozione idratante dopo la doccia. I ricercatori hanno sfiorato la pelle dell\'avambraccio dei volontari con tocco via via di velocità diversa ed hanno scoperto il nuovo gruppo di fibre nervose, osservando che queste si attivano solo quando lo sfioramento sulla cute corre a una velocità tale da essere avvertito come piacevole. La velocità ottimale delle carezze è 4-5 centimetri al secondo, spiega McGlone. Importantissima linea di confine tra noi e il mondo, la cute è cosparsa di innervazioni di vario tipo che permettono al corpo di sentire ciò che è fuori di noi e di proteggersi dal pericolo. Fondamentali, e molto studiate dai neuroscienziati, sono le fibre che percepiscono gli stimoli dolorosi: è grazie a loro, per esempio, che sappiamo ritrarre immediatamente la mano da un corpo caldo per non scottarci. Ma non c\'è solo il dolore, anche l\'affetto, provato sulla nostra pelle, è fondamentale. Non per niente già i nostri cugini scimpanzè usano \'carezzarsi\' tra loro per \'pulirsi\' il pelo. Non a caso stiamo ore a massaggiarci e l\'affetto di una mamma per il proprio neonato passa anche per le carezze del corpo. Non solo, i neuroscienziati hanno scoperto che l\"occhio attento di \'Madre Natura\'\", in assoluto rispetto delle regole darwiniane dell\'evoluzione, ha disposto queste fibre non su tutto il corpo, ma solo sulle parti adatte a ricevere carezze: è impensabile che simili fibre del piacere tattile siano sul palmo della mano perché questa ne risulterebbe sempre \'distratta\' e non riuscirebbe a svolgere i suoi importantissimi compiti di afferrare, muovere, spostare. Le fibre tattili del piacere, dunque, sono solo dove servono e dove non creano interferenze percettive. E sono indispensabili perché mediano l\'affetto di cui sono gravide le carezze ma servono anche a \'invogliarci\' alla cura di noi stessi. \"La scoperta di queste fibre - conclude McGlone - getta infatti un\'affascinante luce sul perché trascorriamo così tanto tempo prendendoci cura del nostro corpo con massaggi, lozioni e creme da stendere sulla cute. Oltre all\'indubbio beneficio fisico, la verità è che proviamo piacere da quest\'azione\". Fonte: www.repubblica.it

I ciechi \"vedono\" il mondo. La scoperta di un team italiano     ( 24/08/2009 )
I non vedenti possono conoscere l\'ambiente in cui si muovono attraverso gli altri sensi. I \'neuroni-specchio\' si attivano allo stesso modo delle persone vedenti. PERCEPIRE e conoscere il mondo esterno anche quando gli occhi non funzionano è possibile, ma non c\'è bisogno di nessuna protesi. Infatti, il cervello umano è in grado di \"vedere\" la realtà che ci circonda grazie ad una vera e propria regia, capace di ricavare informazioni utili da tutti e cinque i sensi. Infatti, cellule nervose finora considerate il motore dell\'imitazione visiva, i cosiddetti neuroni specchio, funzionano perfettamente anche in chi è cieco dalla nascita. E\' quanto emerge da una ricerca italiana pubblicata sul Journal of Neuroscience e coordinata da Pietro Pietrini, direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio e Diagnostica molecolare dell\'Azienda ospedaliera universitaria di Pisa. Lo studio è stato condotto in collaborazione con la cattedra di Psicologia clinica diretta da Mario Guazzelli e con il Centro di Risonanza magnetica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Pisa. \"Ci siamo chiesti se il sistema dei neuroni specchio fosse strettamente dipendente dall\'esperienza visiva, oppure se fosse in grado di svilupparsi anche in assenza di questa e di rispondere anche ad altri stimoli, come quelli sonori\", spiega Emiliano Ricciardi, uno degli autori della ricerca. Per trovare la risposta gli studiosi hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale per osservare come risponde ad alcuni stimoli il cervello di un gruppo di volontari con cecità congenita e un gruppo di vedenti. I due gruppi dovevano riconoscere azioni presentate attraverso immagini e suoni. Si è visto così che i neuroni specchio dei non vedenti si attivano al suono di un\'azione compiuta, come quelli prodotti bussando alla porta o piantando un chiodo. E che l\'attivazione era simile a quella osservata nei volontari che vedevano compiere la stessa azione e sentivano i relativi rumori. \"I risultati dimostrano che il cervello è organizzato in modo più articolato di quanto si credesse e che utilizza tutte le informazioni, a prescindere dalla singola attività sensoriale\", rileva Pietrini. Il cervello è insomma una macchina complessa \"programmata per svilupparsi anche quando manca l\'esperienza visiva\". Di conseguenza \"in termini di educazione il cervello dei non vedenti non ha differenze grazie a questa capacità di riorganizzazione plastica. La vista resta importantissima, ma adesso sappiamo che la capacità di rappresentare il mondo esterno non dipende strettamente da questa\". Fonte: www.repubblica.it

Quei neuroni \"copioni\"che aiutano i ciechi ad imparare     ( 24/08/2009 )
Quei neuroni «copioni» che aiutano i ciechi ad imparare Si chiamano «specchio» e sono attivi anche nelle persone non vedenti dalla nascita PISA – Mentre la comunità scientifica continua a interrogarsi e dividersi sull’esistenza dei neuroni specchio, una ricerca italiana appena pubblicata dal Journal of Neuroscience, una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo, non solo conferma la loro esistenza, ma dimostra per la prima volta che i neuroni specchio sono presenti anche nei ciechi. NEURONI CHE COPIANO - Secondo gli scienziati possono essere definiti «specchio» quei neuroni che si attivano non solo quando un individuo compie un\'azione, ma anche quando la stessa viene terminata da un altro soggetto e tra i due nasce un’empatia comunicativa. Dunque, i neuroni specchio avrebbero un ruolo fondamentale nell\'apprendimento attraverso l\'imitazione e il loro studio aprirebbe nuove frontiere. Adesso la nuova ricerca, condotta dall’università di Pisa e dal Cnr (Laboratorio di Biochimica Clinica dell’ateneo pisano diretto dal professor Pietro Pietrini in collaborazione con la cattedra d Psicologia Clinica del professor Mario Guazzelli) apre nuove strade anche nello studio delle funzioni cognitive dei non vedenti che in futuro potrebbero avere anche applicazioni pratiche, nel lavoro e nella didattica. FORME DI APPRENDIMENTO - «Utilizzando la risonanza magnetica funzionale – spiega il professor Pietrini - abbiamo dimostrato che il sistema dei neuroni specchio si attiva anche in individui privi della vista fin dalla nascita. Questi soggetti ascoltano il suono di azioni (suonare il campanello, piantare un chiodo, bussare alla porta, tanto per fare alcuni esempi) e nel loro cervello hanno una risposta simile di neuroni specchio a quella dei soggetti vedenti che ascoltano e vedono le stesse azioni». Insomma, secondo lo studio dell’Università di Pisa, il sistema dei neuroni specchio non avrebbe bisogno dell\'esperienza visiva per svilupparsi e funzionare. «E ciò porta a dimostrare che l\'apprendimento e il riconoscimento delle azioni degli altri – spiega Emiliano Ricciardi, uno degli scienziati pisani del team di ricerca - non dipende esclusivamente dall\'esperienza visiva ma può avvenire attraverso altre modalità sensoriali utilizzando le stesse strutture del cervello». Questo, secondo i ricercatori, spiegherebbe perché individui privi della vista sin dalla nascita riescono ad interagire in maniera efficace con l\'ambiente che li circonda. «In più il nostro studio dimostra – spiega ancora Pietrini - come il nostro cervello sia organizzato in maniera sopramodale, in altre parole sia in grado di elaborare le informazioni a prescindere da una specifica modalità sensoriale». Fonte : www.corriere.it